Cosa va a fare Parker sul Sole

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Il volo di Icaro è una sorgente di ispirazione. Ma non nel senso di metafora della superbia, della hybris, punita duramente con la caduta di chi volle osare troppo volando vicino al Sole, bensì nella metafora della storia dell’uomo, come una serie ininterrotta di tentativi e prove che appagano il desiderio umano di voler superare i propri limiti. Così il boato dell’Atlantis IV Heavy che ha dato il via al lungo viaggio di Parker Solar Probe, è il primo passo di un’avventura che porterà l’esplorazione robotica satellitare vicina al Sole come mai prima d’ora, ad una distanza di soli 6 milioni di chilometri, circa 10 volte il suo raggio. L’obbiettivo della missione, lo studio della corona solare, la parte più esterna dell’atmosfera della nostra stella, delle tempeste magnetiche e della struttura dei venti solari, ha una fortissima ricaduta sulla vita di noi terrestri. La comunità scientifica internazionale considera sempre più importante lo Space Weather, la meteorologia spaziale ossia la condizione fisica dell’ambiente spaziale intorno alla Terra, che è tutt’altro che vuoto, spazzato dal vento solare e dai raggi cosmici guidati dai campi magnetici interplanetari . Questa forma di meteorologia, attraverso osservazioni, monitoraggio, analisi e modellizzazione, cerca di prevedere le condizioni del Sole e della sua influenza sull’ambiente intorno alla Terra. Lo Space Weather cerca anche di prevedere a breve (forecast) e brevissimo (nowcast) termine i possibili effetti sull’ambiente biologico del nostro pianeta e sulle infrastrutture tecnologiche nello spazio e sulla terra.
Facciamo un esempio: le dinamiche della corona solare, un plasma ad elevatissima temperatura, interagendo con il potente campo magnetico del Sole, creano movimenti convettivi di materiale che può raggiungere temperature di milioni di gradi. Al di fuori dal flusso convettivo della corona, si trovano zone più fredde, i buchi coronali, che possono esplodere con effetti rilevanti sulla meteorologia spaziale, rappresentando un concreto pericolo per il nostro pianeta. Quando arriva in prossimità della terra, la velocità del vento solare formato da protoni e elettroni e nuclei di elio, varia dai 300 agli 800 chilometri al secondo, migliaia di volte quella del suono. Sviluppandosi radialmente rispetto al Sole, il vento percorre i 150 milioni di chilometri che mediamente separano il Sole dalla Terra, distanza chiamata unità astronomica, in un tempo che può variare trai due e i nove giorni. Questo vento trasporta letteralmente con sé il campo magnetico del Sole fino a raggiungere i limiti della eliosfera, oltre le 120 unità astronomiche. Quando il vento raggiunge la terra e la sua magnetosfera, il suo campo magnetico interagisce con quello terrestre deformandolo come il vento fa con una bandiera. Le variazioni dell’intensità del vento solare, perturbano la magnetosfera terrestre, come accade nel caso delle aurore boreali, talvolta con effetti drammatici. Nella nostra vita quotidiana, noi non facciamo particolarmente caso al comportamento del campo magnetico terrestre, malgrado sia un elemento essenziale per la vita su questo pianeta, al pari dell’aria, dell’acqua e della luce del Sole. Il campo magnetico terrestre è, però, una sorta di muro invisibile che ci protegge dal vento solare, che sarebbe in grado di far scomparire la nostra atmosfera. Si suppone, infatti, che il magnetismo di Marte sia scomparso circa 4 miliardi di anni fa e con il suo campo magnetico il Pianeta Rosso abbia perso la sua atmosfera e di conseguenza l’ acqua che era all’ inizio molto abbondante. In alcune situazioni le perturbazioni magnetiche possono essere così intense da danneggiare le linee di telecomunicazione terrestre e le reti elettriche, danneggiando anche i satelliti artificiali da cui dipendono gran parte delle nostre telecomunicazioni e applicazioni di geo-informazione e geo-localizzazione. La più distruttiva tempesta solare venne registrata nel 1859, ed è nota come Evento di Carrington in onore dell’astronomo inglese Richard Carrington, che osservando il fenomeno fu il primo a scoprire il nesso tra l’attività solare e le turbolenze geomagnetiche sulla Terra. Durante la tempesta le aurore boreali furono avvistate a sud fino a Roma e a Cuba, mentre le aurore australi furono visibili a nord fino a Santiago, in Cile. L’evento geomagnetico fu così intenso che i telegrafisti statunitensi videro scintille sprigionarsi dai loro strumenti che, in alcuni casi, arrivarono addirittura a prendere fuoco.
In una civiltà come la nostra, basata sull’information & communication technology una tempesta simile avrebbe conseguenze senza dubbio molto più pesanti: per questo la missione della NASA e quella futura dell’ESA, Solar Orbiter, che vede un importante contributo italiano grazie all’ASI e il supporto scientifico dell’INAF, che partirà nel 2020, sono importanti non solo per dare risposte alla comunità scientifica interessata alle dinamiche del Sole ma per tutti gli abitanti della Terra che dal Sole traggono l’energia per sostenere la propria vita e l’ ecosistema che ci circonda. (asi)

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